nessun aumento cedolare secca

Il Governo fa marcia indietro sull’aumento della cedolare secca per gli affitti a canone concordato: resta l’aliquota al 10%.

Secondo i dati del Rapporto immobiliare 2019 condotto da Abi-Agenzia entrate, nel 2018 le abitazioni locate con nuovi contratti a canone concordato interessati alla cedolare secca al 10% sono stati oltre 251mila (cifra che include anche gli affitti per studenti universitari) e Confedilizia stima che nel complesso i contratti con canone concordato attualmente in vigore in Italia siano da 800mila a un milione.

Questa particolare tipologia di contratto prevede per l’inquilino con la possibilità di pagare un canone calmierato in quanto non fissato liberamente dal proprietario, ma stabilito entro precise soglie determinate dalle associazioni di proprietari e inquilini e riportate negli Accordi Territoriali.

La durata è di 3 anni + 2 di rinnovo, dunque è più breve rispetto a quella del contratto di locazione a canone libero, il classico 4+4.

Il proprietario, vincolato dall’obbligo di chiedere un canone mensile inferiore rispetto a quello che potrebbe ottenere con il canone libero, tuttavia trova la convenienza di questa forma di contratto in alcune agevolazioni dal punto di vista fiscale, prima fra tutte l’applicazione del regime facoltativo della cedolare secca con aliquota al 10%.

Proprio la percentuale dell’aliquota è stata al centro di discussioni e polemiche nelle ultime settimane dal momento che nel Documento programmatico di bilancio era stato inserito il suo aumento.

Il Governo intendeva portarla al 12,5%, andando quindi ad incrementare le tasse per quei proprietari che concedono un immobile in locazione a canone concordato.

La reazione di Confedilizia e degli operatori del settore immobiliare è stata immediata: ciò che veniva contestato era la scelta di appesantire il carico fiscale proprio su una misura definita “sociale”, perché pensata per favorire un’offerta abitativa estesa anche a quei soggetti più deboli, come gli studenti o i lavoratori, che non si rivolgono al libero mercato.

Il Governo ha tenuto conto di questo e ha preferito mantenere la cedolare secca al 10%, non solo per l’anno prossimo, ma a livello strutturale, per la soddisfazione dei proprietari e non solo; infatti tutto il settore immobiliare temeva le possibili conseguenze di un rincaro della cedolare, che avrebbe fatto salire il prezzo dei canoni e, di conseguenza, messo in difficoltà gli inquilini.

Restando in tema di risparmio e di tasse sulla locazione, per il momento è invece ancora incerto il destino della cedolare secca per i locali commerciali che, introdotta un anno fa, scade alla fine di quest’anno.

Anche in questo caso mantenere l’aliquota forfettaria al 21% sarebbe una scelta saggia, dato che lo scopo di questa misura è duplice: da una parte c’è il tentativo di dare una boccata d’ossigeno al commercio tramite benefici fiscali che permettano di risparmiare sul pagamento delle tasse, dall’altra c’è l’intento di controllare meglio le tassazioni e limitare il fenomeno degli affitti in nero.

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